Il prossimo 9 Ottobre, GMA Onlus parteciperà alla #marciaperlapace #PerugiAssisi
Non per gloria ma per cambiare il mondo. Con umiltà. Cominciando da dentro di ciascuno di noi. Ad Assisi ci si viene così, ha detto ieri Padre Mauro Gambetti introducendo la cerimonia conclusiva della Giornata mondiale di preghiera per la pace. Senza nascondere un dubbio: “Volevamo offrire al mondo intero un messaggio di misericordia e di pace condiviso dalle religioni e dagli uomini di buona volontà. Non so se ci siamo riusciti. La storia darà il suo giudizio, in termini di sviluppo o di declino dell’umanità.”
Ho apprezzato molto la riflessione del Custode del Sacro Convento di Assisi pronunciata ieri pomeriggio davanti a Papa Francesco e a numerosi leaders di diverse religioni venuti da tante parti del mondo per l’incontro “Sete di pace”. L’ho apprezzata perché racchiude il senso del limite, dell’incertezza e del dubbio che accompagna le tante cose che facciamo per la pace. E tra queste la prossima Marcia PerugiAssisi del 9 ottobre.
A dare il senso dell’urgenza impellente del nostro impegno è risuonata invece, ancora una volta, prima a Roma e poi ad Assisi, la voce di Papa Francesco.
“Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione.”
“Se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte. Non possiamo chiudere l’orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra”.
“Sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna. Vergogna di questo: che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo.”
Non possiamo restare indifferenti. Per questo, ogni giorno, lottiamo contro la rassegnazione, l’inerzia, il menefreghismo, la chiusura, la violenza, l’egoismo, la miopia, la stupidità, la fatica. Per questo, anche oggi, 21 settembre, Giornata Mondiale della Pace, rilanciamo un nuovo invito a partecipare alla Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità. Ci sono molte cose da fare tutti i giorni ma il 9 ottobre dobbiamo ritrovarci insieme per generare un fatto nuovo, un movimento nuovo, all’altezza delle sfide che non vogliamo ignorare. Utilizziamo ogni giorno, ogni occasione, ogni momento, ogni strumento per coinvolgere chi non si è ancora lasciato coinvolgere.
“Il valore profetico dell’incontro di Preghiera per la pace che ieri si svolto ad Assisi, ha concluso Padre Mauro Gambetti, dipende da ciò che farà ciascuno di noi domani.”
Flavio Lotti
Coordinatore della Marcia PerugiAssisi
Perugia, 21 settembre 2016
Non possiamo osservare in silenzio la strage in Kenya: possiamo però provare a capire le dinamiche che vi sono alle spalle. E possiamo provare a cercare una risposta, che è sempre e solo una: il dialogo. Kizito Sezana, spiega le dinamiche di una strage, che vede tanti cristiani vittime, ma non solo, soprattutto vede i giovani studenti più poveri di Nairobi inermi di fronte ad una violenza che fa della religione uno schermo dietro il quale nascondersi.
di Kizito
“Il male che fanno ai cristiani è terribile, ma anche il male che fanno a noi musulmani non si può misurare”. E’ il mattino del Venerdì Santo, ed Alamin, gli occhi bassi, addolorato e mortificato, commenta così il titolo del giornale di Nairobi sulla strage di Garissa: “147 morti, 79 feriti nell’attacco al campus”. Sono tre i musulmani in gruppo di una ventina di studenti che avevo programmato di incontrare già da qualche giorno.
Gli studenti sono accumunati dal dolore per la brutale mattanza, che diventa subito il tema centrale del nostro incontro. Sanno che gli assisini hanno selezionato i cristiani per essere uccisi, anche se fra le vittime non sono pochi i musulmani, addiritutra alcuni che stavano pregando nella moschea. Sanno anche una cosa ignorata da molti commentatori occidentali: gli studenti di Garissa sono tra coloro che, seppure hanno ottenuto l’acceso all’università, appartengono alle famiglie più povere. In Kenya, infatti, vige la regola che gli studenti di livello terziario che accedono all’educazione pubblica vengano mandati a studiare in una università al di fuori della loro regione. Possono indicare le loro preferenze, ma Garissa, una cittadina fuori dalle strade di grande comunicazione, e perduta nella zona semi-arida e inospitale verso il confine con la Somalia, è fra i campus meno gettonati. Cosi ci finiscono gli studenti poveri e privi di raccomandazioni, di estrazione sociale ben diversa da quelli delle prestigiose università private di Nairobi.
Le foto sui giornali locali mostrano solo studenti feriti e in fuga, misericordiosamente risparmiandoci le foto degli uccisi, ma la precise descrizioni dei giornalisti fanno facilmente immaginare i corpi dilaniati delle pallottole, ed evocano la carne del Cristo morente sulla croce, con immediata fisicità e crudezza.
Gli studenti non risparmiano critiche all’élite politica e sociale del Kenya, che vive nelle super-protette aree residenziali di Nairobi come fossero il satellite di un altro pianeta, preoccupata solo di accumulare potere e ricchezza. Fanno battute amare sul presidente che solo pochi prima aveva criticato il governo inglese che aveva sconsigliato ai propri cittadini di visitare il Kenya e alcune specifiche aree, la costa e Garissa incluse. Altre battute amarissime sulla corruzione, che permette agli agenti di Al Shabaab di muoversi senza controlli effettivi su tutto il territorio e addirittura di infiltrare le strutture governative.
Eppure il sentimento che prevale è quello di partecipazione al dolore dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime. Parole durissime per gli assassini – ben lontane, bisogna dirlo, dalle parole di Cristo sulla croce – ma non una parola di accusa e neanche di presa di distanza verso i musulmani presenti e l’Islam in quanto tale. C’è la preoccupazione che il ripetersi di atti terroristici finisca per scavare una linea di divisone profonda e che questa possa trasformarsi in odio fra gli appartenenti alle diverse religioni.
Il rapporto cristiani e musulmani è un nodo cruciale per le prossime generazioni in questa parte d’Africa e dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni anche di tutti gli agenti pastorali. Eppure non c’è ancora stata una grande riflessione comune, che abbia cercato di raggiungere tutti. E così convivono molte visioni diverse e contrastanti. Una parte di cristiani crede che la soluzione sia nell’imposizione della proprio fede, senza escludere la sopraffazione.
Qualche mese fa avevo visto lo stesso Alamin uscire dall’aula della scuola superiore dove frequentava l’ultimo anno con gli occhi pieni di lacrime di rabbia e umiliazione perché un missionario italiano, che aveva fatto una conferenza agli studenti su come affrontare responsabilmente la vita, aveva insultato pesantemente e indistintamente tutti i musulmani e la loro religione.
Visto da Nairobi il fondamentalismo islamico può vincere solo se riesce a scavare un solco di odio fra gli appartenenti alla diverse religioni. Per questo, la nostra risposta al terrorismo non può seguire la stessa logica, ma deve tornare ai valori del Vangelo: l’amore, il dialogo, la croce e il perdono. Deve sconfessare, come fa papa Francesco, chi usa Dio al servizio della violenza e della morte, e aprirsi al dialogo con tutte le persone di buona volontà.
In una prospettiva di fede, il sangue dei martiri è seme di cristiani, e dopo il venerdì di passione viene la Pasqua. Ma neppure una fede salda e la certezza della vittoria del bene sul male ci esimono dallo studiare e dal cercare di capire la storia che si sta evolvendo intorno a noi. Da questa questa prospettiva, è preoccupante la mancanza di una matura riflessione su quanto sta succedendo nella grande area africana in rapida espansione, in cui musulmanesimo e cristianesimo si incontrano e purtroppo spesso si scontrano.
Non basta, come fanno i vescovi di tutte le chiese cristiane keniane dopo ogni episodio di terrorismo, lanciare generici appelli di indignata condanna e rinnovare le richieste al governo di aumentare le forze di sicurezza e di dimostrare una maggiore determinazione nella lotta contro la corruzione. Bisognerebbe favorire un’analisi delle forze che si scontrano in questo momento storico, l’elaborazione di una comune riflessione su come porsi di fronte all’Islam e in genere alle altre religioni, sopratutto la Religione tradizionale africana, come sempre il grande assente dal dibattito pubblico, ma pur sempre viva nella profondità dell’anima di tutti gli africani.
ripreso da http://www.kizito.org/2015/04/il-venerdi-santo-del-kenya/ Apr 4th, 2015 by kizito.
Oggi, 2 Ottobre, si celebra la Giornata internazionale della Nonviolenza.
Le Nazioni Unite, che l’hanno istituita nel 2007, intendono celebrare in questo modo l’anniversario della nascita di M.K. Ghandhi.
2 Ottobre per il disarmo: Se vuoi la pace prepara la pace. Con la difesa nonviolenta.
GMA sostiene e valorizza la donna, spesso vittima di abusi e non considerata all’interno della comunità. Attraverso la partecipazione a corsi di formazione, la donna acquisisce nuove capacità ed imparare un mestiere che le permette di sostenere economicamente lei e la sua famiglia.
Nel villaggio di Soddo Kettema le donne hanno già avviato un’attività di risparmio-credito che si vuole ora incentivare realizzando una sala multiuso.
Guarda la scheda del villaggio e aiuta le donne ad avviare nuove attività generatrici di reddito.